Nel novembre 2069 la Valle d’Aosta mostrava ancora un cielo azzurro, ma l’eruzione del Toba stravolse ogni previsione. Un velo di cenere oscurò il sole e la terra tremò sotto le Alpi. A Courmayeur, la riapertura del Tunnel climatico del Monte Bianco venne offuscata dall’arrivo della nube stratosferica intercettata dai droni sentinella del CNES.
La prima neve verticale
A dicembre senza attendere l’inverno astronomico, iniziarono nevicate verticali, precise come aghi. Le valli alpine si chiusero su se stesse in una settimana. Località come Cogne, Bard e Pré-Saint-Didier divennero silenziose, sepolte sotto strati di neve grigia e sabbia vulcanica. I rifugi ipogei salvarono pochi fortunati, mentre il ghiaccio congelava perfino i lupi meccanici.
La Svizzera chiude i valichi
Con la chiusura dei valichi svizzeri, la Val Formazza e la Val Vigezzo rimasero isolate. I dirigibili crioprotetti italiani vennero distrutti dai turboventi ionizzati. A Domodossola, i rifugiati trovarono riparo in hangar convertiti in centrali umane a calore condiviso, dando vita alla Fratellanza del Respiro, una nuova spiritualità fondata sulla cooperazione climatica.
Le comunità di quota
Sopra i 1000 metri, comunità a Macugnaga, Rhemes-Notre-Dame e Chamois resistettero, vivendo come nel Medioevo ma con tute termiche al grafene. Ogni famiglia svolgeva un compito vitale: raccogliere neve pulita, custodire il fuoco, raccontare storie per tenere svegli i bambini, contrastando il letale torpore del freddo.
La Valle di Susa: sopravvivenza nel sottosuolo
A Susa, Chiomonte e Bardonecchia, i tunnel dell’alta velocità non completati divennero rifugi vitali. Si coltivava con lampade fotosintetiche, si cucinava con forni ionici, si scriveva su pelli sintetiche, mentre i chip impiantati, resi inutili dal freddo, cedevano il posto alla rinata centralità della voce.
Le valli bergamasche e l’innovazione dell’alveare termico
Tra Clusone e San Pellegrino, la neve distrusse ogni struttura. Lucia Rasponi progettò l’alveare termico: moduli esagonali coibentati con lana compressa e resina organica, mantenuti a 9 °C grazie al calore umano e ai flussi idrotermali, consentendo la rinascita della vita comunitaria.
Le parole che si congelano
Nel dicembre 2069, si diffuse la leggenda delle parole che si congelavano nell’aria. A Livigno, vennero raccolti cristalli fonici che liberavano echi al tatto, portando alla nascita del “tempo del parlare piano”: si parlava sottovoce e lentamente per risparmiare calore e custodire le parole.
Il ghiaccio come memoria
Il ghiaccio divenne un libro vivente. In molti, come l’autore, incidevano messaggi e nomi sulle pareti glaciali, utilizzando punte di rame e acido. Le valanghe che cancellavano queste incisioni venivano interpretate come il segno che la memoria era stata letta.
Gennaio 2070: verso nuovi confini
Ettore Zanella, il narratore, si trovava a Ponte di Legno, pronto a esplorare il Passo del Tonale, dove i ghiacci settentrionali incontravano quelli della Pianura Padana. Prossima destinazione: il Delta del Po, ora trasformato in un fiume cristallizzato, sede di nuove comunità nate sotto i ponti e lungo i canali antichi. Raccontare rimaneva l’unico vero calore rimasto.
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